Quando il sole estivo raggiunge il suo picco e lentamente lascia il posto ad una notte via via più lunga, la mia anima assume contorni più sfumati e meno protetti. Di questo ogni tanto ne lascio traccia.
A poco a poco si scioglie il nodo dell’anima e i pensieri smettono di martellare ossessivamente le fragili emozioni.
Settembre è la vera fine dell’anno, è il suo vero inizio, è il lento riposo dell’euforia della natura ed il placarsi delle tempeste di sole.
Mi giro nell’angusto spazio della mia casa, là dove non trovo un angolo che sia mio se non questo schermo, strana finestra illuminata.
Come un lento respiro o come il veloce susseguirsi dei battiti del cuore mi contraggo e mi dilato a ondate scarsamente prevedibili, scarsamente controllabili. Nel tempo mi son stancata di dare mille spiegazioni, e non so come il mio continuo, inarrestabile movimento possa essere visto da un osservatore esterno. Ho molti affetti e una sola amica, forse l’unica che in qualche modo accetti il mio eremitico bisogno di allontanarmi da ogni relazione. Come fare a spiegare questo? Come poter ogni volta che capita ripetere tutto più volte?
Nel respiro del tempo a volte anche i contatti più neutri e banali mi creano ferite lacere, anche solo una parola o un gesto, anche quanto dovrebbe gratificarmi ha invece il potere di bruciare la mia carne priva di pelle. E allora indosso un burka di piombo per evitare ogni tipo di radiazione, ogni forma di contatto.
E m’allontano.
Non dura molto, ma è sufficiente per sconcertare chi mi conosce negli aspetti più solari e combattivi.
Sto uscendo ora.
Ma per un attimo m’attardo al recente, freschissimo ricordo. E’ molto dura, perchè non è socialmente previsto che un essere umano possa variare i propri ritmi sociali e lavorativi tarandoli sul proprio respiro, sui ritmi biologici legati alle stagioni, tarando il proprio sonno nel rispetto di orari interni.
E così ancora è fresco il dolore di questi due mesi passati con forti fitte costrittive al cuore che sottolineavano un contatto, l’ascolto di qualcuno (e io lavoro attraverso l’ascolto…). Mi trovo in quella strana e quasi irreale fase in cui il cuore ha smesso quasi di botto di dolermi (ed è un dolore fisico…) e il respiro di mozzarsi al centro dello sterno, e mi scopro a fare con maggiore leggerezza qualcosa che fino al giorno prima mi sarebbe costata sudore e sangue.
Perchè tutto così “fuori” eppure tutto così “dentro”? Perchè tanto bisogno di usare le parole per dire chissà cosa a chissa chi? Me lo sono spesso chiesta. A volte sento il bisogno un pò puerile e idiota di scusarmi di essere così come sono, vorrei poter dire a chi mi vede sparire: “Non ho mai smesso di volerti bene, ma l’affetto in certi momenti è per me pericoloso quanto l’odio…”
Non ho mai avuto il coraggio di farlo di persona. Non troverei parole, mi volerebbero via come i corvi di Van Gogh dal campo di grano. E finsco per usare un blog, letto da altri e non da chi allontano.
Non vorrei mai fare del male a nessuno. Eppure, nonostante tutto, chissà, forse ne faccio tanto…
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ciao,curiosamente mi ritrovo in te!!!io mi chiamo connie,ho 35 anni!!!quelle che hai scritto sono i versi del cuore,le domande che ti fai sono quelle che si pone colui che guarda oltre.la tua malinconica ermeticità non è altro che la consapevolezza che si nasconde dentro di te!!!apri il libro e comincia a leggere,il tuo respiro,la tua tua luce,il tuo silenzio,i tuoi gesti…mettini in ascolto!!!se hai tempo guarda il mio blog e forse ti sarà tutto più chiaro!!!ciao e grazie