Stanotte, alle 01,45, daranno Samsara alla TV, su Rete 4.
Film molto singolare uscito nel 2001, del regista indiano Nalin Pan, della sua programmazione vengo a conoscenza sfogliando distrattamente la rivista “Magazine”, settimanale del Corriere della Sera. Conosco il film in quanto lo vidi anni fa su videocassetta. Uscito ai margini delle grosse distribuzioni, nella mia città nessuna sala cinematografica mi risulta lo abbia proiettato.
La rivista lo segna con una stella, che significa “da evitare”. Questa cosa mi fa incazzare notevolmente. Non tanto perchè ho trovato il film bellissimo e carico di una profondità assai rara, ma perchè il consiglio proviene da una rivista dove la metà delle pagine è costituita da pubblicità e dell’altra metà la maggior parte degli articoli sono pura evasione, gossip, argomenti che promettono approfondimenti ma di queste promesse non ne mantengono una.
Non mi sorprende, peraltro. Sono anni che non leggo (a volte neppure dalla parrucchiera) nessun tipo di rivista. Ma il fatto legato alla programmazione del film mi ha stimolato riflessioni irritate.
Samsara è una parola sanscrita usata sia in àmbito buddhista che in quello, più antico, indù. Indica il ciclo della vita e delle vite, mantenuto e perpetuato dalla legge del desiderio. Come potete leggere dalla recensione, il film parla proprio di questo. Un giovane monaco viene svegliato da un periodo di meditazione di 3 anni, 3 mesi, 3 settimane e 3 giorni e quindi riportato presso il monastero ove è cresciuto. Ma il mondo e i desideri lo catturano, sotto forma dell’amore di una bellissima ragazza di un villaggio, con la quale fa l’amore, si sposa, fa un figlio, e che alla fine tradisce. Samsara è la lotta contro un sistema di gestione dei raccolti che passa attraverso un’organizzazione straordinariamente simile alla mafia (tutto il mondo è paese…). Samsara sono i dubbi, le angosce, le nostalgie e l’inquietudine del vivere giorno dopo giorno.
Samsara è il ritorno al monastero e la voce della moglie che gli ricorda ciò che vien dimenticato facilmente: la sofferenza della moglie del Buddha, abbandonata dal principe all’indomani della nascita del figlio.
Tutto ciò è descritto con una fotografia incantevole, tersa, aspra nel mostrare una terra bellissima ma assai difficile. E’ descritto dietro i colori dei monaci e della gente del popolo, attraverso le feste e la vita quotidiana, attraverso il freddo degli inverni e il caldo delle estati, attraverso una sensualità carica di profumi che par quasi di sentire attraverso il video.
Ma pensare fa male, riflettere sul ciclo della vita, sulle scelte, sulle incredibili somiglianze di mondi contaminati può essere pericoloso. Ed allora meglio programmare questo film poco prima delle due di notte, e, ancor di più, meglio bollarlo come “da evitare”…
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